Nel 1895 l'antropologo e psicologo francese Gustave Le Bon pubblica "Psicologia delle folle". La borghesia francese (ed europea) ha necessità assoluta di vagliare, secondo (propria) ragione, la psicologia sociale degli assembramenti – delle riunioni, degli scioperi operai –, essendo letteralmente incalzata dall'ascesa dell'antagonista politico (la possibilità di una nuova "Comune", di un nuovo 1871 su più grande scala era la nemesi storica che terrorizzava la borghesia). Basti guardare agli avvenimenti più significativi accorsi nell'anno di pubblicazione del saggio: muore F. Engels, sorge la Unione di lotta per l'emancipazione della classe operaia diretta da V. Lenin, mentre nuove invenzioni (la radio e il cinematografo) rivoluzionano le modalità di comunicazione e di propaganda, infrangendo le barriere spaziali fino ad allora concepite. Nei tre lustri precedenti il 1895 sorge un numero consistente di partiti: il "Proletariat" in Polonia, il Partito Operaio Italiano, i partiti socialdemocratici austriaco, ungherese, bulgaro e rumeno, il Partito Operaio Indipendente in Inghilterra, ecc.
La borghesia sapendo di essere braccata tenta brillantemente l'ennesima partita d'anticipo, forte del nuovo campo d'indagine della psicologia, utilizzando Le Bon come sodale prestanome. Egli adotta la psicologia piegando la materia a fonte di prevedibilità di comportamenti attesi: la folla è irrazionale, poco propensa al ragionamento; svanisce la personalità cosciente, si accomunano le mediocrità; il senso di responsabilità evapora, subentra il contagio mentale, quasi ipnotico, la suggestionabilità e la stravaganza sono ai margini dell'incoscienza; il "branco" ha una suggestione e un interesse particolare per le immagini e per semplici parole, e in preda ai deliri un'allucinazione collettiva si lascia sedurre da queste idee passeggere (Le Bon fa continui rimandi agli spettatori delle opere teatrali...); non ha moralità, è crudele e vigliacca, soggetta al fascino e al prestigio della legge di un capo; l'unica figura retorica che conosce è la ripetizione; alla folla manca un ideale di grandezza e di potenza, è obnubilata dal nichilismo e dalla barbarie.
Parlando di quest'opera la storiografia moderna non tralascia mai di ripetere che essa fu studiata da alcune personalità influenti dello scorso secolo (Lenin, Mussolini, Stalin, Hitler, ecc.) per rinvigorire l'improbabile accostamento tra ideologie antitetiche.
Per certo, alcune considerazioni del frasario leboniano potranno apparire roboanti, altre offensive o ciniche, altre profetiche, ma occorre vagliare con ragione che se il matrimonio "reale" d'Albione è stata guardato in diretta da milioni di persone nel mondo quest'oggi, non si può ascrivere la sola colpa del genocidio culturale ai vari Le Bon. Anzi, bisognerebbe accuratamente utilizzare questi e altri scritti come una preziosa cartina al tornasole di uno iato tuttora incolmabile.