— Il cosmopolitismo, e non il patriottismo, è l'ideologia della borghesia imperialista. «Il moderno cosmopolitismo si manifesta in modi diversi. Per esempio, si annida nella propaganda che tesse le lodi degli attuali accordi tra i monopoli europei e le richieste di altri accordi simili. Le corporazioni dei monopolisti sono presentate come l'incarnazione dell'ideale di "unità dei popoli europei", come il modo per superare i "limiti nazionali". Non c'è da meravigliarsi che questo genere di propaganda sia apertamente sostenuta e finanziata dai grandi monopoli. Esistono, tuttavia, altre forme di propaganda di cosmopolitismo, più raffinate e silenti. Queste, di norma, assumono le sembianze di idee "umanitarie", democratiche e persino "socialiste". La tesi preferita degli ideologi del cosmopolitismo – in particolare tra quei socialisti di destra –, è l'affermazione che nel mondo moderno il principio di sovranità sia divenuto un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Ma come possono essere garantite le condizioni per uno sviluppo di tali forze sulle delle basi interstatali alquanto generiche? Certamente non violando i diritti e gli interessi sovrani di alcuno Stato in particolare, ma coordinando questi interessi nel corso di una comune cooperazione che risulti reciprocamente vantaggiosa. ... I nemici del marxismo affermano che, difendendo i principi della sovranità statale e dell'indipendenza, i comunisti si oppongono alle tendenze dello sviluppo sociale, preferendo preservare la divisione del mondo in Stati e la disunione delle nazioni dell'arena mondiale. Ma simili attacchi in passato erano già stati architettati contro Lenin, che scrisse: "Esigiamo la libertà di auto-determinazione nazionale, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione per le nazioni oppresse, non perché abbiamo sognato di dividere il Paese economicamente, o perché perseguiamo l'ideale dei piccoli Stati, ma, al contrario, perché vogliamo grandi Stati e una più stretta unità e persino una fusione di nazioni, purché realizzate su una base davvero democratica, davvero internazionalista, che è però inconcepibile senza la libertà di separarsi". Oggi anche i comunisti sono coerenti sostenitori della cooperazione economica e politica tra l'Europa e altri popoli e del massimo riavvicinamento tra loro. Ma i comunisti sono categoricamente contro quell'integrazione che viene effettuata dai monopoli capitalistici, che perseguono esclusivamente i loro interessi egoistici. "L'Europa dei trust" non è un'unione di popoli uguali. Rifiutando tale "unità europea", i comunisti non si oppongono all'idea di un riavvicinamento dei popoli, bensì all'utilizzo del "mercato comune" per approfondire la divisione in Europa, per stabilire blocchi economici chiusi e convertirli in basi per l'aggressione. Secondo un altro argomento frequentemente addotto, l'abolizione o la restrizione della sovranità spianerebbe la strada alla prosperità economica e a un maggiore benessere di vita per i popoli. La rinuncia alle "limitazioni nazionali", si presume, condurrebbe allo stabilirsi di un progressivo avvicinamento economico e politico tra i Paesi, alla messa in comune delle loro risorse e all'espansione dei mercati, tutte circostanze che in ultima analisi dovrebbero avere un effetto favorevole sulle condizioni economiche di ciascuno Stato. Ma in realtà questa "integrazione" implica qualcosa di completamente diverso. La classe operaia dei Paesi dell'Europa occidentale ha già cominciato a sperimentare le conseguenze tutt'altro che favorevoli del "mercato comune": crescita della disoccupazione a seguito della chiusura delle cosiddette imprese "antieconomiche" (ad esempio, dell'industria carboniera in Francia e Belgio); marcato aumento dell'intensificazione del lavoro come risultato dell'acuta lotta competitiva tra monopoli; aumento del costo della vita, nonostante la rimozione dei dazi doganali. E anche a causa delle sopraggiunte misure varate contro i lavoratori, con la scusa del livellamento dei salari e dell'unificazione della legislazione sociale in tutti i Paesi del "mercato comune" (assumendo in ogni caso come standard di riferimento il livello più basso). In aggiunta agli argomenti di carattere economico, i paladini del cosmopolitismo sono dotati di ulteriori tesi di natura politica. Dicono, per esempio, che la rinuncia alla sovranità sia necessaria per la difesa della democrazia, per conseguire l'eliminazione del pericolo della guerra e per il rafforzamento della pace. Essi sostengono che i Paesi capitalisti devono sacrificare la propria sovranità in favore degli Stati Uniti d'America, per difendere la "democrazia" dalla "minaccia del comunismo". Questa tesi non sta minimamente in piedi. Anzitutto, la democrazia dei Paesi occidentali è minacciata non dal comunismo, ma dall'offensiva dei monopoli, che stanno diffondendo la loro reazione in tutte le sfere della società. In secondo luogo, è proprio la rinuncia alla sovranità in favore degli Stati Uniti che espone la democrazia dell'Europa occidentale al più grande pericolo: in questo modo essa si trova sotto doppia pressione – vessata dai "propri" monopoli e da quelli d'oltremare. Questa circostanza è attestata da alcuni fatti, come l'introduzione in un certo numero di Paesi di misure legislative dirette contro il lavoro, a seguito dell'assunzione del "modello americano", dei metodi americani di "controllo fedeltà", ecc. Il pericolo della guerra non può essere eliminato neanche mediante una campagna contro la sovranità. Nel nostro tempo le guerre non sorgono a seguito del raggiungimento dell'indipendenza di uno stato – come affermano gli ideologi del cosmopolitismo borghese –, ma a causa di fattori socio-economici legati alla natura predatoria del capitalismo monopolistico. Inoltre, come già si è detto, non è affatto per evitare la guerra che i monopoli statunitensi calpestano la sovranità degli altri Paesi ma, al contrario, proprio per utilizzare questi come basi di appoggio da cui far partire una guerra d'aggressione. Infine, i propagandisti del cosmopolitismo affermano che il principio della sovranità sia antiquato, poiché ostacolerebbe lo sviluppo della cultura in generale e impedirebbe la fusione dei popoli in un'unica famiglia. Tuttavia, ai nostri giorni la cultura è ottenuta proprio dai risultati delle singole nazioni, e non da qualcosa di diverso da queste. La letteratura, l'arte e la musica fioriscono sul suolo nazionale, ma periscono se queste non hanno radici nelle persone. D'altra parte le grandi opere d'arte che hanno acquisito fama mondiale erano un'espressione del genio nazionale; del resto se l'arte abbandona la sua terra natia diventa incapace di produrre grandi opere. Quindi la lotta per la sovranità – e contro il cosmopolitismo – è allo stesso tempo la lotta per un genuino sviluppo e una fiorente cultura. Tutto ciò dimostra che le forze democratiche sostengono l'idea della sovranità nazionale in nome dell'uguaglianza dei popoli, sulle basi della loro fiducia reciproca, sui principi dell'amicizia, del mutuo aiuto e di rapporti fraterni, nel completo ed esclusivo interesse del progresso sociale». AA. VV., Fundamentals of marxism-leninism, Foreign Languages Publishing House, Moscow, 1963., pp. 437-439.

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