Nel libro “Storia e geografia dei geni umani” (1994) le steppe dell’Asia centrale a nord del Turkmenistan sono descritte quale centro di diffusione del nomadismo pastorale a partire dal 4000 a.C., a causa della morfologia territoriale che impediva la coltivazione. Tale tipo di nomadismo presentava migrazioni cicliche (stagionali) che coprivano una distanza variabile (dai 30 ai 2000 chilometri) per seguire la transumanza delle greggi; alcuni di questi percorsi sono rimasti invariati per millenni sino ad oggi. Quando un gruppo nomade-pastorale incontrava un popolo sedentario dedito all’agricoltura erano frequenti scambi economici e non di rado forme di simbiosi, oppure di predazione totale. Spesso poteva accadere che i nomadi, raggiunta una posizione politica di dominio, trasformassero le terre agricole in zone adatte al pascolo polverizzando l’economia dei precedenti occupanti. Le società agricole erano deficitarie di un’organizzazione militare che eguagliasse, corrispettivamente, quella delle popolazioni nomadi. Questo perché per le popolazioni della steppa il tempo socialmente utile impiegato per procacciare il cibo era inferiore rispetto al modello sedentario dell’economia agricola; sicché il tempo eccedente era in parte reinvestito per affinare i rudimenti dell’arte militare. La stessa economia nomadica per riprodurre se stessa necessitava di un dispiegamento logistico di forze simile a quello di un esercito in movimento – l’uso di carri e soprattutto del cavallo domestico segnavano tale tipo di economia. I nomadi cominciarono a costituirsi come un insieme di gruppi sociali numeroso con rigide strutture di classe, governati da capi eletti per via ereditaria o per acclamazione della folla. Attorno al II millennio a.C. una serie di esplosioni demografiche tra questi abitanti della steppa generò un fenomeno di ondate di emigrazione protrattesi fino al Medioevo.