Mi ritengo soddisfatto di non pagare il Canone Rai da anni, rinnovando annualmente la regolare Dichiarazione di non detenzione dell'apparecchio televisivo. La storiografia borghese, con l'abile propaganda mistificatoria che la contraddistingue, ha da sempre calunniato l'Unione Sovietica (anche) in rapporto alle "persecuzioni" ai danni degli ebrei. Tra i casi più eclatanti, ad esempio si trova un libro francese del 1982, Être Juif en U.R.S.S. (Essere ebreo in Urss), edito dalla Presses Universitaires de France, in cui l'autore "informa" che l'insegnamento della religione ai bambini era punito anche con la pena di morte in base all'art. 119 del Codice penale sovietico: peccato che l'articolo facesse riferimento alla punibilità dell'abuso sessuale sui bambini! Più avanti invece è riportato che nelle "Opere complete" di Lenin non sarebbe contenuto il discorso contro l'antisemitismo del marzo 1919 (di cui, invece, ne ho riportato uno stralcio poco più avanti). Si sostiene, inoltre, che non ci sarebbero copie in circolazione del Vecchio Testamento – altra calunnia, siccome proprio nel 1979 era pubblicata un'edizione del V. T. con testo ebraico e la parallela traduzione in russo dalla Società religiosa della Sinagoga di Mosca. Parentesi storiografiche a parte, è interessante ricercare gli antecedenti della "questione ebraica" in Unione Sovietica. Nel 1894, anno dell'ascesa al trono dell'ultimo zar, Nicola II, gli ebrei erano concentrati per il 94% nelle zone di residenza obbligatoria e oltre i due terzi di essi erano venditori ambulanti, individui senza occupazione fissa e piccolissimi imprenditori; la restante parte era divisa tra operai di fabbriche, piccoli artigiani in proprio, impiegati, contadini e intellettuali. A quel tempo le masse ebraiche che vivevano sotto il giogo del regime politico zarista – a ragione definito "prigione dei popoli" – versavano in uno stato di impoverimento generalizzato (mancanza di nutrimento, altissima mortalità infantile, ecc.), ed erano ostaggio della propaganda ideologica della ricca borghesia ebraica (e di una parte del rabbinato), la quale non aveva interesse alcuno nel consentire l'appoggio delle masse ebraiche alla partecipazione alla lotta contro lo zarismo, ma ciò non impedì a moltissimi ebrei di parteciparvi. Il 10% degli appartenenti all'Associazione dei vecchi bolscevichi era di origine ebraica. Uno tra i più grandi dirigenti della Rivoluzione d'Ottobre, un vero leninista, fu Jakov Mikhailovic Sverdlov, di manifeste origini ebree. Prima del 1917 e poi nei primi anni del potere sovietico, Lenin, per riferirsi all'antisemitismo parlava di «odio imbecille contro gli ebrei; a questo compito infame non si dedicano solo i rifiuti della reazione, ma anche gli intellettuali, i professori, gli scienziati, i giornalisti, i deputati reazionari. Miliardi di rubli vengono sperperati per avvelenare la coscienza del popolo». La prima Costituzione sovietica del luglio 1918 (al tempo Repubblica socialista federativa sovietica russa) nell'art. 22 specificava che era riconosciuta «l'eguaglianza di diritto dei cittadini indipendentemente dalla loro razza o nazionalità ..., contro ogni oppressione delle minoranze nazionali». Sempre nello stesso mese, il Consiglio dei Commissari del Popolo diffuse una dichiarazione contro i pogrom antiebraici messi in atto dalla reazione "bianca" durante la sanguinosa guerra civile. Nel marzo 1919 la voce di Lenin venne registrata su un disco e diffusa in tutta l'Unione Sovietica, pronunciando queste parole: «I nemici dei lavoratori non sono gli ebrei. I nemici dei lavoratori sono i capitalisti di tutti i Paesi. Tra gli ebrei vi sono degli operai, dei lavoratori, essi costituiscono la maggioranza. Sono nostri fratelli oppressi dal capitale, nostri compagni nella lotta per il socialismo». La Costituzione del 1936 (art. 123) ribadiva i concetti già espressi in quella del 1918; così come la Costituzione del 1977 (artt. 34, 36, 64), nonché l'art. 74 del Codice penale, per il quale la propaganda o l'agitazione al fine d'incitare all'ostilità d'ordine razziale era punita fino a un massimo di cinque anni di prigionia nei campi di lavoro. Mentre gli ebrei evitavano il servizio militare sotto gli zar, essi servirono in gran numero nell'Armata Rossa, consci del fatto che il potere sovietico aveva abbattuto i ghetti ed eliminato le discriminazioni. Tra le migliaia di cittadini sovietici decorati, centinaia erano ebrei; 140 di essi ricevettero il titolo di Eroe dell'Unione Sovietica. Tra i generali che ricoprivano un ruolo nei comandi supremi dell'Armata Rossa, almeno 60 erano ebrei. Nell'aggressione nazi-fascista ai danni dell'Urss perirono circa 750 mila ebrei. Il Governo sovietico fu l'unico ad attuare conseguentemente le deliberazioni della Conferenza delle Bermude (1943) sul problema degli stermini nazifascisti di ebrei. Una delle massime cariche militari dell'Armata Rossa, il generale David Dragunsky (ebreo anch'egli), così si espresse: «Gli ebrei hanno combattuto nella seconda guerra mondiale nei ranghi della nostra Armata Rossa con lo stesso impegno, la stessa dedizione e lo stesso spirito di sacrificio di tutti i cittadini del nostro Paese». E aggiunse, importante, «Che i figli di chi si è battuto contro il nazismo non se la sentano di combattere e morire per il sionismo è molto significativo». A tal proposito, sarebbe interessante piuttosto ascoltare cosa hanno da dirci gli Angela (pater et filius) a proposito del sionismo. Ma forse farò prima a vedere la mia pensione tra una cinquantina d'anni. Nel frattempo gli Angela si godono i nostri soldi (pubblici).

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